giovedì 13 febbraio 2014

Breve compedio delle correnti e delle concezioni filosofiche incontrate o solamente accennate, ispirate dal glossario in "Le domande della filosofia" Vol.II la Nuova Italia



CONTRATTUALISMO: comprende una varietà molto ampia di teorie. A livello generale esso definisce tutte le teorie politiche che vedono l’origine della società politica in un contratto, cioè in un accordo fra gli individui. Il contratto prevede il trasferimento volontario del potere dai membri della società all’autorità politica, e in genere la realizzazione di tale accordo segna il passaggio da uno stato di natura, condizione priva di norme e di vincoli, ad un contesto sociale e politico.

RAZIONALISMO:
EMPIRISMO:
PROBABILISMO
CRITICISMO KANTIANO:
IDEALISMO ROMANTICO
IDEALISMO MAGICO
IDEALISMO ETICO O SOGGETTIVO

IDEALISMO HEGELIANO: si intende la teoria dell'idealità (non reltà) del finito, il processo dialettico del finito nell'infinito, scrive Hegel nella Scienza dell logica "La proposizione che il finito è ideale costituisce l'idealismo".

PANTEISMO:  dal greco pan= tutto e theòs= Dio 
Almeno due significati:
1) tutto è Dio, il mondo è identificato completamente con Dio- concezione monistica, sostenuta in epoca moderna da Baruch Spinoza secondo il quale il mondo e la materia sono manifestazione della sostanza divina. Tale posizione, annullando la trascendenza- ciò che va oltre- di Dio rispetto alla realtà, è accusata di ateismo (senza Dio) mascherato.
2)Dio è in tutto, il mondo è espressione divina ma non esaurisce Dio, pensiero che domina nel romanticismo filosofico, si parla infatti di ripresa dello spinozismo. Hegel ritenendo che Dio si riveli nella storia reale, quale autocoscienza dello Spirito Assoluto, è considerato panteista.
PESSIMISMO
NICHILISMO
ESISTENZIALISMO

lunedì 10 febbraio 2014

sostegno etimologico allo studio della storia dei concetti filosofici



Volontà: dal latino voluntas, dal volere, desiderare, richiamandoci ad Aristotele, la volontà, in ambito morale, è legata alla facoltà desiderativa, da orientare con la ragione per perseguire il Bene,quindi appetito razionale, desiderio orientato con cognizione di causa,
Dal Romanticismo, si matura, con la critica all'illuminismo e alla ragione positiva,  un rovesciamento del significato, leggiamo come Schopenhauer nell'opera "Il mondo come volontà e rappresentazione" la ridifinisca e costruisca su di essa l'intera sua filosofia:
La volontà considerata in  se stessa è incosciente: è un cieco, irresistibile impeto, qual noi già vediamo apparire la natura inorganica e vegetale, come anche nella parte vegetativa della nostra vita [...] e ciò che la volontà sempre vuole è la vita; [...]perciò è tutt'uno quando invece di volontà senz'altro diciamo "volontà di vivere".

Sentimento: almeno 2 significati:
1)stato affettivo che condiziona la vita dell'individuo e dal quale hanno origine le passioni.
2) dall'epoca moderna è pascalianamente intesa  quale forma di conoscenza immediata, intuitiva che si contrappone alla logica-discorsiva, esaltata da molti idealisti romantici, giudicata invece per la sua espressione individuale da Hegel.

J. G. Fichte riflessioni su "Discorsi alla nazione tedesca" Berlino 1808 tratte dalla recensione all'edizione italiana Laterza

J. G. Fichte (1762-1814): esponente dell'idealismo soggettivo, così  fu presentato dal massimo filosofo idealista, Hegel: Fichte fu seguace di Kant al punto che gli attribuirono la sua prima pubblicazione, anonima "Saggio di una critica di ogni rivelazione", per l'importanza della stessa fu chiamato ad insegnare all'università di Jena. In seguito all'accusa di ateismo, dal 1800 si trasferì a Berlino, dal 1810 fu decano di filosofia all'università berlinese fondata dal re di Prussia.

Di questo pensatore del primo Romanticismo tedesco,  consideriamo la concezione politica e l'importanza della lingua nell' identitàdi una nazione.


 Fichte presentò i 14 discorsi a Berlino tra il 1807 ed il 1808 e come ricorda nella recensione all'ed. italiana di Laterza, Isabella Ferron, "Lo stato tedesco non esiste ancora, è un "concetto geografico". Esiste un deutsches Volk che tuttavia non sembra essere il destinatario dei Discorsi. Il termine Volk ha una radice germanica, il termine Nation designa invece un concetto storico-politico sviluppatosi durante l'Illuminismo. Non si tratta, in ogni caso, di un'identità di stato basata sul diritto e sul concetto d'ordine sociale, bensì riguarda l'identificazione con una specifica comunità linguistica.

Ciò che Fichte sostiene nei suoi Discorsi è la necessità di una rigenerazione della Germania, in primo luogo intellettuale spirituale (geistig), come condizione fondamentale per la liberazione dalla dominazione straniera. Fichte pronuncia i suoi Discorsi durante il periodo napoleonico, quando le truppe francesi sfilano sul territorio di lingua tedesca."

Ciò che a noi preme evidenziare, per comprendere la lettura parallela del brano la lingua e il popolo, riportato a p. 558 del manuale scolastico [Filosofia: dialogo e cittadinanza] è la vicinanza di Fichte agli articoli terzo e sesto della Costituzione italiana  con i quali, rispettivamente, vengono tutelate sia  le minoranze linguistiche sia proclamato il principio l'uguaglianza  formale e sostanziale dei cittadini di fronte alla Legge.
L'idealista, teoreta dello Stato etico, infatti pronunciò i  Discorsi ai tedeschi, senza discriminazioni per ceto, sesso  ed età. Come scrive sempre Ferron: " Il gruppo di persone che li ascolta costituisce una continuità ideale che si assume la responsabilità del miglioramento della società tedesca". 
Lo Stato Etico al quale dovrebbe tendere, in quanto fine, l'umanità intera, è un concetto nevralgico della filosofia fichtiana e svincola il pensatore da ogni critica di precursore del nazismo, poichè contrario a desideri espansionistici. 
L'importanza della  lingua presentata  quale collante e testimone dell'identità culturale e sociale di un popolo è sostenuta da Fichte riponendo "l'attenzione - appunto- sul popolo, in cui la lingua è viva", scrive chiaramente sempre Isabella Ferron: " Connesso al linguaggio vi è il discorso sull'originarietà del popolo e il valore che il popolo assume nella formazione della società. Dal concetto di popolo scaturisce il concetto di nazione, come presa di coscienza di ciò che il popolo è nella sua accezione linguistica e storica. Nel concetto di nazione il popolo è coscienza di se stesso, delle sue tradizioni. Nella nazione si esprime, in ciascun singolo individuo, lo spirito del popolo che si concretizza nelle variegate forme della realtà.
L'instaurazione di tale modalità di pensiero porta alla costituzione di un nuovo significato di nazione. Solo se la comunità di parola e ascolto riesce a costituirsi in nazione, se riesce a trovare in sé stessa le condizioni di tale ascolto, allora e solo allora si può auspicare il miglioramento (socio-culturale) della società tedesca.
Il pensiero è tutto esercitato e praticato per opera della parola, che richiede di essere ascoltata. Non si può più pensare a una scissione tra pensiero "pensato" e pensiero "detto": ciò che si pensa s'invera immediatamente nel linguaggio, il quale diviene istituzione di comunità. Non è solo una semplice trasmissione di contenuti, ma nemmeno una mera comunicazione tra pensieri diversi. Ha in sé una forza performativa, poiché si rivolge a una comunità non ancora realizzata, che tuttavia esso anticipa. Tale aspetto pratico del pensiero è un atto di parola da parte di chi parla del proprio diritto a farlo, non perché egli sia qualificato diversamente rispetto a qualcun altro, ma il semplice fatto di essere stato il primo a farlo.
Grande influenza ebbero i Discorsi, particolarmente in ambito politico, poiché rappresentano l'assunzione di responsabilità sia da parte di colui il quale li pronuncia, sia da parte di coloro i quali hanno poi il compito di metterli in pratica."

Così definisce, con una espressività tendezialmente contorta,  Fichte:
Se noi chiamiamo popolo gli individui viventi in mezzo alle stesse condizioni esterne capaci di influire sulla loro lingua con lo scambio continuo di essa, bisognerà dire che la lingua del popolo è quel che è, necessariamente, e che non il popolo esprime   le sue conoscenze, ma le sue (spirito della nazione) si esprimono attraverso lui."  J.G, Fichte, Discorsi alla nazione tedesca, trad. di B. Allason, Torino Utet, 1953, p.79 in "Filosofia: dialogo e cittadinanza" vol. II, p. 558.
prof.ssa Federica Risigo

sabato 8 febbraio 2014

Kant: tra piacere e dolore



Rifletti sulla posizione kantiana: la vita è un' alternanza di piacere e dolore; l'uno rende possibile l'altro? Sei d'accordo? Motiva la tua opinione, facendo riferimento alla tua esperienza. Esercizio tratto dal II manuale

Seppur creda che ogni uomo in realtà impieghi l'intera vita a cercare di provare uno stato di piacere ininterrotto, lontano da qualsiasi tipo di dolore, così identificando il solo fine ultimo dell'esistenza nella felicità, sono convinta che sia indispensabile l'alternanza tra piacere e dolore in cui uno rende possibile l'altro. 
Secondo la mia opinione, nessun uomo è per natura portato a cercare il dolore, nessun uomo è portato a distruggere se stesso. 
Ma la sofferenza è indispensabile per valorizzare e arricchire tutto ciò che ogni giorno realmente ci rende felici e soddisfatti della nostra vita.
Se vivessimo in una condizione di appagamento perenne non potremo apprezzare tutte le occasioni e le esperienze che ci danno in qualche modo piacere perchè comparirebbero ai nostri occhi come ripetitive, banali e ordinarie; non  vedremo più apparire sul nostro volto un enorme sorriso e non sentiremo più un sentimento di pienezza e gioia perché la felicità non verrà considerata più di una semplice normalità.
Dal dolore si impara ad essere felici e si impara a sentirsi felici in quanto sviando le difficoltà e le sofferenze si può arrivare ad amare e apprezzare ciò che ci circonda.
Come quando si perde un amico dopo aver scoperto che ti ha "pugnato alle spalle", si soffre e si capisce che quest'amico non era poi meritevole di essere definito tale. Questa situazione ci apre gli occhi iniziando ad apprezzare, a guardare con occhi diversi e con più affetto chi c'è sempre stato e che ci ha sempre sostenuto.
Per questo motivo considero piacere e dolore come un unità complementare e indissolubile, un tutt'uno che fa parte della vita, in cui non bisogna per forza sfuggire da uno per raggiungere l'altro.
Greta D.M.

La vita è alternanza di piacere e dolore, in quanto uno rende possibile l’altro.
Il piacere è un sentimento che corrisponde ad un qualcosa di positivo.
È considerato l’esperienza opposta al dolore, che rappresenta infatti un’esperienza spiacevole, che ferisce la persona.
Il dolore precede ogni piacere ed è il principio che muove l’uomo.
Il dolore è un’azione, mentre il piacere è una rapida cessazione di essa.
Se, ad esempio, l’uomo non avesse sofferto il dolore della fame non si sarebbe mai dato alla caccia per trovare cibo e sfamarsi e dunque sopravvivere, passando così dalla sensazione del dolore a quella del piacere.  Ketty R.




Sono d’accordo con la posizione kantiana secondo la quale il dolore rende possibile il piacere, perché a mio parere in questo modo si riesce ad apprezzare al meglio il momento piacevole. Kant afferma che “la vita è il gioco continuo di antagonismo di piacere e dolore” e che è questo alternarsi che costituisce la condizione di salute. Se provo a pensare a una vita senza dolore, a primo impatto direi che sarebbe “la vita perfetta” ed è forse proprio questa perfezione nell’avere solo gioie che non mi entusiasmerebbe vivere in questa situazione, perché si perderebbe il vero senso della parola “gioia”, sarebbe tutto monotono e abituale.
Secondo me è anche vero che il piacere può essere provato indipendentemente dal dolore, se le situazioni che provocano i due stati d’animo sono anch’esse indipendenti, oppure nel caso in cui io mi trovi in una situazione di equilibrio: in un determinato momento non ho provato né gioie, né dolori tali da condizionare il mio stato d’animo e  si presenta una situazione che mi provoca piacere.  In questo caso il piacere è indipendente dal dolore.  Per mia esperienza personale posso confermare ciò che ho detto, perché ogni giorno ci si trova davanti a dei dolori enormi che possono essere colmati o risollevati a piccole gioie quotidiane, come anche al contrario un periodo di piacere può essere interrotto da un dolore forte che al primo momento ci abbatte ma che anche grazie ad esso possiamo riprendere con forza la nostra vita. Cristina A.



Concordo con le idee kantiane, probabilmente dai sentimenti deriva tutto quello che si fa nella vita, nel bene e nel male quindi sono aspetti  riconducibile all’esperienza, quest’ultima sembrerebbe allora un intreccio di ragione e sentimenti, per l’appunto.
Concretamente, ripensando ad alcune situazioni personali nelle quali ho vissuto seguendo l’impeto del sentimento, agendo quindi in maniera impulsiva e frettolosa; utilizzando maggiormente  la ragione avrei evitato certe conseguenze poco piacevoli. Fatti da non dimenticare ma da considerare importanti perché  hanno permesso di espandere la mia conoscenza e superare alcune idee che consideravo assolute.
In conclusione, i sentimenti  risulterebbero addirittura utili, benché pericolosi se lasciati a loro stessi senza un’adeguata gestione; per tal motivo ritengo importante conoscerli per  saperli domare con l’utilizzo dell’esperienza e della ragione; così, forse, potremmo cercare di evitare spiacevoli avvenimenti.
Mattia Maurizi Enrici

Chi siamo? Cos'è la filosofia?


Questo è un esercizio di pratica filosofica: analisi biografica e conoscenza di sé ispirato a:  www.scuolaphilo.it Scuola Superiore di Pratiche Filosofiche

Desidero a tal riguardo rendervi partecipi di studi attualissmi sul significato attuale della disciplina filosofia  citando e riportando la presentazione del saggio "La filosofia come stile di vita" Introduzione alle pratiche filosofiche scritto dai chiar.mi Professori Luigi Vero Tarca e Romano Màdera. Mondadori, 2003

"Quando si pensa alla filosofia nell'opinione comune, ma anche tra gli stessi filosofi, la si intende quasi sempre come un discorso che esamina altri discorsi, scientifici o etici, per saggiarne l'attendibilità. 
Ma la filosofia è stata, fin dalle sue origini, ricerca di saggezza che nasceva da un certo modo di vivere e si trasmetteva attraverso esercizi spirituali, un aspetto dei quali era l'attività teorica. Il libro illustra sia alcuni motivi teorici per i quali questa importante dimensione è stata a lungo trascurata, sia le regioni che rendono possibile ed entusiasmante una sua riproposizione in forme adeguate al tempo presente: propone quindi un rinnovamento delle pratiche filosofiche intese come indissolubile unità di teoria e biografia, capace di attingere alla ricchezza delle origini ma anche di ricomprendere in una dimensione di verità le nuove forme di filosofia".

 Qui riporto alcune citazioni di docenti di chiara fama internazionale che mi hanno aiutato ad intendere il senso della filosofia, professori esimi ai quali sono umilmente riconoscente per gli insegnamenti ricevuti direttamente frequentando le loro lezioni.


è con il Chiar.mo prof. Maso di Storia della filosofia romana e storia della filsofia medievale che desidero proseguire per ricordare con Lui il rischio che sta dietro ad ogni filosofia, ad ogni nostro ed altrui esistere, cito dall'introduzione al saggio "Rischio", Ca' Foscarina, 2003-

"Rischio. Io rischio.
Senza accorgercene - oppure responsabilmente decidendo - viviamo di continuo l'esperienza del rischio. L'ebbrezza del rischio. L'azzardare. L'avventurarsi. Ogni azione quotidiana, addirittura ogni pensiero, testimonia l'avventura dell'esistenza. Di qui prende avvio la riflessione che compete alla politica, alla sociologia, all'economia e alla scienza; ma anche alla psicologia, all'estetica, al gioco.
[...] Forse è la vita stessa è il luogo del rischio. Ma essa è anche ciò che il mio arrischiarmi consente. Addirittura il pensiero stesso è un'avventura rischiosa: quel pensiero che comporta inevitabilmente il decidere. [...] Ma allora il rischio non è l'anima stessa dell'Occidente?"

"


Siamo la classe dalla personalità unica e speciale, variegata e composita, considerato che stiamo ospitando la disciplina filosofica, qui nemo propheta in patria, quale strumento critico per orientare quell'osservatore incompreso nascosto in noi, che sia proprio questo il luogo migliore per rigenerare la filosofia stessa immergendola in nuovi interrogativi?
Quando la filosofia è di casa rischia di confondersi nel necessariamente ovvio, qui, invece, nella quinta del Liceo economico sperimentale, i VAS: i veloci  amici della Sophia, sono consapevoli di correre in una scorciatoia umbratile nell'ostico territorio della storia del pensiero occidentale. Sapendo  di esistere, non  è più permesso ignorare il mondo umano dentro e fuori se stesso, letto con le antiche, probabilmente eterne, domande, viviamo la scoperta di millenarie, provvisorie ed infinite risposte.
 

 Cari Vas,
pubblichiamo qui i vostri pensieri, aforismi, frammenti preferiti per presentare un'immagine secondo il prima  e l'attuale della filosofia in voi.
 prof.ssa Risigo Federica



Citazione tratta dall'introduzione in "Una scintilla di fuoco" Zanichelli 2005 invito alla filosofia  del Chiar.mo prof. Remo Bodei: docente di estetica e storia della filosofia alla Scuola Normale Superiore all'università di Pisa (tra le più importanti di Italai), attualmente insegna filosofia all'University UCLA in California, membro sia del comitato scientifico che organizza il Festival della Filosofia a Modena sia dell'Istituto europeo di design.
 "Da qualche tempo l'interesse per la filosofia è ovunque cresciuto e i testi di introduzione a questa disciplina si sono moltiplicati. Diversi motivi spiegano il fenomeno: la filosofia costituisce un antidoto contro il fast food ammannito dai mezzi di comunicazione di massa; risponde al bisogno di capire e ragionare conseguente al tramonto delle ideologie che hanno dominatoil panorama politico del Novecento; pone interrogazioni sul destino di ciascuno di fronte al profilarsi di un avvenire che appare più insicuro"
Il prof. Bodei ha scelto di aprire l'introduzione alla filosofia con il passo che segue, tratto dalla Settima Lettera  [ 341 C-D)di Platone e che desidero qui condividere con voi:
"La filosofia non "è una disciplina che sia lecito insegnare come le altre; solo dopo una lunga frequentazione e convivenza col suo contenuto essa si manifesta nell'anima, come una luce che subitamente si accende da una scintilla di fuoco, per nutrirsi poi di se stessa"

Filosofi idealisti romantici: Schiller e l'"anima bella"



MORALITA’ ED EDUCAZIONE ESTETICA 


FILOSOFIA – es. T7 pag. 560 Vol. II "Filosofia: dialogo e cittadinanza" E. Ruffaldi, P. Carelli,  ed. Loescher

Autore: F. Schiller
Brano tratto da: "Sull'utilità morale dei costumi estetici"in Grande antologia filosofica diretta da M. F. Sciacca, Marzorati, 1990 , XVII, pp. 509-510.
Tema: presenta il concetto di anima bella, teorizzato per la prima volta in "Grazia e dignità" 1793.

Filosofo: Schiller è un esponente del movimento idealista- corrente filosofica diffusasi nel Romanticismo.
Rubinato Ketty

Si, ritengo che i sentimenti siano un elemento positivo della moralità, dove la ragione è lo strumento di mediazione dei sentimenti stessi.
La moralità dei sentimenti si può trovare quando esiste un equilibrio tra essi e la ragione.
Una cosa è morale quando ci fa stare bene, è immorale quando ci fa stare male; dunque i sentimenti, quelli veri, sono considerati un aspetto positivo della moralità.
Secondo Schiller, l’anima bella può, spontaneamente, armonizzare il dovere morale.
Nei sentimenti prevalgono i momenti di riflessione razionale sull’emotività equindi vengono considerati favorevoli alla moralità.



Autore: Schiller - filosofo idealista romantico
 

I sentimenti sono centrali nella morale in quanto rappresentano l’armonia tra la ragione e la sensibilità, senza i sentimenti l’uomo non sarebbe in grado di esprimere i propri affetti e le proprie virtù. Tuttavia è importante che i sentimenti non siano in contrasto con la razionalità perché renderebbero difficile le scelte. È necessario quindi, che la legge morale riesca a dominare anche con la forza la sensibilità e riuscire attraverso la riflessione a focalizzarsi sull’obiettivo. Per fare ciò però si deve conoscere bene se stessi e operare con freddezza senza farsi influenzare dalle inclinazioni materiali.



Scrive J. Cavallari:
Sono d’accordo con Schiller sul fatto che il vertice della moralità consista in un intreccio tra ragione e sentimento.
I sentimenti non sono assolutamente negativi, ma positivi qualora si fondano con la ragione e questo può avvenire attraverso un’armonizzazione.
Il vizio è sgradevole dato che tende in maniera cieca alla sua soddisfazione e quando si cerca di frenarlo attraverso la ragione, il vizio si oppone alle sue prescrizioni.
Un vizio si può eliminare solo se la ragione si unisce con i sentimenti formando una forte moralità in grado di combattere il vizio.
Il vizio è il più forte nemico dell’uomo se riesce ad avere la meglio rispetto alla ragione.




SCHILLER: Il gusto e la legge morale

Friedrich Schiller  nell’opera Grazia e dignità, pubblicata nel 1783, concepiva la moralità in un’armonizzazione di sensibilità e  di ragione. I sentimenti, originati dalla sfera sensibile dell’anima, possono comportare  sia  conseguenze positive sia negative alla luce del giudizio morale; sembrerebbe, a questo punto, che tutto  dipenda da quali sono i sentimenti che proviamo in un determinato momento,ad esempio, se provo una passione verso qualcosa o qualcuno farò di tutto per riuscire ad avvicinarmi ad esso, se invece, al contrario, provassi un sentimento di odio verso qualcuno, cercherò in tutti i modi di stargli lontano o di agire, a primo impeto, in modo immorale nei suoi confronti. 
Schiller, dimostrandosi particolarmente attuale, possiamo affermare questo ripensando all’articolo recentemente apparso sul Corriere della sera di P. Panza, nel quale si evidenzia come gli studi di neuroestetica di Semir Zekiri rilevino l’importanza del legame tra emozioni suscitate dalle caratteristiche di un’opera d’arte e quindi come le emozioni di piacere suscitate ad esempio da linee e colori armoniosi,siano preferibili a quelle di dolore e paura, il filosofo idealista, con due secoli di anticipo, criticava  il vizio in quanto espressione di qualcosa di sgradevole esteticamente e che quindi difendeva l’educazione al gusto quale strumento etico verso la ricerca della virtù e della bellezza.
A tal riguardo vorrei sollevare un dubbio,  infatti il vizio spesso si cammuffa dietro la bellezza, la seduzione, e spesso riesce ad ingannare l’uomo. Il lusso infatti è un vizio composto solo dalla bellezza, eppure riesce a rovinare molte persone, ciò che però manca a questo tipo di bellezza è la moralità che in situazione del genere viene messa in secondo piano o addirittura dimenticata, mentre il vizio, grazie alla soddisfazione momentanea, prende il sopravvento nelle scelte dell’individuo, controllando i suoi desideri. Soltanto la celebre dottrina dei 7 vizi capitali, recentemente riattualizzata dal prof. U. Galimberti nell’opera I Vizi capitali e i nuovi vizi, ci ricorda la lussuria quale vizio e, seguendo la prospettiva schilleriana, da allontanarla per mantenere Bella la nostra anima.
 Un commento a quattro mani di Marangoni Laura e prof. Risigo Federica.